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Il periodo francese

Il XIX secolo si apre con un atto di fondamentale importanza per la comunità grazzanese: la soppressione, dopo nove secoli, dell’abbazia a seguito del decreto napoleonico del 1802.
L’abate di Saint Marcel, uomo di perfetta obbedienza sabauda, rimase in paese ed ebbe il titolo di parroco; tutti i beni posseduti dall’abbazia furono incamerati dal demanio nazionale e venduti all’asta. Di tale liquidazione approfittarono alcune delle famiglie più intraprendenti di Grazzano, che sino ad allora erano stati affittuari dell’abbazia, se non semplici mezzadri: nacque così la fortuna dei Badoglio e dei Cotti (inizialmente Cotto), si accrebbe quella dei Plebano, dei Lusona, dei Chiesa Morra, dei Piccinino e dei Capretto. La svendita dei beni abbaziali portò in territorio di Grazzano anche parecchi proprietari forensi, a cominciare da Giovanni Battista Minoglio da Santa Maria, poi il medico Ignazio Bava da Cereseto, l’avvocato moncalvese Antonio Maria Tadini, i Rubini anch’essi da Moncalvo, Giacinto Verdun, Giuseppe Mezzena da Montemagno. Nasceva così, dalle ceneri dell’abbazia aleramica, il nuovo ceto emergente di proprietari borghesi destinato a costituire la classe dirigente del paese per oltre un secolo. Attorno a loro figurava una miriade di piccolissimi particolari, finora semplici sottoposti dell’abate. La grande proprietà agraria dei secoli feudali cedeva il passo al frazionamento dei beni, esasperato poi da ulteriori suddivisioni successorie.
Di scarso rilievo è stata la partecipazione dei grazzanesi al movimento giacobino. Se è vero che nel dicembre 1798, durante la prima ondata rivoluzionaria, si era piantato l’albero della libertà «avanti l’Albo pretorio e Tribunale e pubblica piazza», se il 6 gennaio 1799 venivano destituiti i consiglieri Giovanni Antonio e Carlo Plano, Baldassarre Badoglio e Giovanni Battista Redoglia ed eletta la nuova Municipalità presieduta da Ignazio Grosso, è anche vero che le redini del potere civico continuarono a tenerle le famiglie “importanti” del paese: i Plebano, i Badoglio, i Lusona, i Plano. Venivano aboliti i titoli nobiliari, ognuno era egalitariamente e democraticamente appellato “cittadino” – anche il Saint Marcel era diventato il “cittadino Abate” – ma la sostanza del potere non cambiava: anzi, motivo di particolare astio contro i Francesi era la coscrizione obbligatoria che portò tanti giovani grazzanesi a seguire l’Armée imperiale in giro per l’Europa, con morti e dispersi su tutti i campi di battaglia. Amministrativamente, Grazzano era compresa nella 27ª Divisione Militare, Département di Marengo, Arondissement di Casale, Canton di Montemagno.
La lingua ufficiale anche in Piemonte diventava il francese e si introdusse negli atti ufficiali il macchinoso calendario rivoluzionario, le ore si contavano adesso a partire dalla mezzanotte invece che dal tramonto del sole e in luogo dell’antico sistema di misura piemontese si tentava di introdurre quello decimale.
Prima del declino dell’astro napoleonico, Grazzano venne scelto tra le comunità in cui si sarebbe sperimentato il nuovo catasto (appunto il catasto napoleonico). Dopo soli trent’anni dalla redazione della mappa sabauda, il territorio comunale nel 1810-1811 fu sottoposto a nuova misurazione, si compilò una nuova mappa suddivisa in 9 fogli, di più agevole consultazione, e venne di conseguenza anche ripartito il registro, cioè la base imponibile su cui esigere le imposte.

La restaurazione e l'unità d'Italia
Negli anni della restaurazione sabauda Grazzano contava ben 1360 anime e i grazzanesi erano «per lo più robusti, solerti e pacifici». I prodotti della terra consistevano in grano, granoturco, foraggi e «molto vino che riesce di buona qualità».
Nella seconda metà del secolo ebbe grande impulso lo sviluppo viario, promosso per favorire lo scambio commerciale con la vicina Moncalvo, sede di importanti mercati, e lo smercio dei prodotti agricoli. Innanzitutto si raccordò la vecchia e malandata strada di San Giacomo - Giarette con quella che portava a Moncalvo (attuale provinciale 31); poi, impegnando ingenti risorse finanziarie, il Comune fece progettare una nuova via di comunicazione che unisse l’abitato direttamente con la strada per Moncalvo. Nasceva così il Borgo nuovo, destinato in breve a trasformarsi in popoloso insediamento residenziale: lo si sarebbe chiamato via Principe di Piemonte, poi via Dante.
Nel 1871 entrava in funzione la linea ferroviaria Asti-Casale e, sempre per favorire il commercio locale, il Municipio diveniva membro di un consorzio per l’apertura di una strada di diretta comunicazione con la stazione di Moncalvo, passando per Vallescura.
Altra opera pubblica di fondamentale importanza per la riqualificazione del paese fu il nuovo cimitero, costruito, secondo le più moderne norme igieniche, lontano dall’abitato. In paese le famiglie emergenti rimasero sostanzialmente le stesse di inizio Ottocento: particolarmente significativo è il casato dei Cotti, che illustrò il paese con Pietro, avvocato e magistrato della Corte dei Conti, poi senatore del Regno, e con il fratello Giuseppe Giacomo, ufficiale dei Granatieri, aiutante di campo del duca d’Aosta, che rimase disperso sul campo di battagli di Custoza il 24 giugno 1866 e al quale venne conferita la medaglia d’oro al valore militare. Un terzo fratello Cotti, Tullio, medico e ricco proprietario terriero, fu a lungo amministratore pubblico di Grazzano e promosse la costruzione dell’edificio scolastico e l’erezione del muraglione di sostegno che costeggia la piazza. Il passatempo più popolare in paese era il gioco della palla a bracciale e il medico Cotti aveva voluto favorire i suoi concittadini, che si servivano del muro come sponda per le loro partite.
La parrocchia, dopo il ritorno in patria dell’ex abate di Saint Marcel, era stata affidata a un vicario temporaneo finché nel 1843, riconosciuta l’impossibilità di ripristinare l’abbazia, Casa Savoia, che ne deteneva ancora il patronato, nominò un vicario perpetuo nella persona di don Salvatore Bonasso da Montiglio.
Tra le molte iniziative intraprese per restaurare la chiesa dei Santi Vittore e Corona va segnalato il rifacimento della facciata nelle forme tutt’oggi visibili.
Il secolo terminava sull’onda di una diffusa preoccupazione per l’integrità dei vigneti locali: anche a Grazzano era comparsa la temuta fillossera, che, in aggiunta alla grandine e alle crittogame, metteva a durissima prova la stessa sussistenza di tante famiglie di piccoli proprietari, fittavoli, mezzadri e schiavandai. L’unica speranza di salvezza per molti era l’emigrazione: sia nella vicina Francia (specialmente a Marsiglia), sia oltremare nelle lontane Americhe. Se al censimento del 1901 in paese si contavano 1877 abitanti, vent’anni dopo il numero era sceso a 1773 e a 1676 nella rilevazione del 1931.


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